Negli ultimi anni si è parlato tanto di digitalizzazione dei servizi pubblici. Tutto più semplice, tutto più veloce, tutto più “smart”. Via la carta, via le file agli sportelli, via pure le biro blu. Al loro posto, portali, app, credenziali, QR code, notifiche push.
Ma chi ha provato a spiegare lo SPID a sua madre sa già dove vogliamo andare a parare.
Need for SPID
Siamo onesti: in Italia la digitalizzazione ha fatto qualche passo avanti. Alcuni anche di corsa. Lo SPID è ormai diventato la chiave di accesso a quasi tutto, la CIE ha lasciato nei cassetti le vecchie tessere sgualcite e l’app IO ha fatto ordine, mettendo assieme bonus, certificati, multe e da poco pure la patente.
È tutto lì, nel telefono.
In teoria.
Secondo i dati più recenti, meno della metà della popolazione (45,65%) possiede competenze digitali di base.
L’altra metà lì che cerca di capire cosa sia un “Fascicolo Sanitario Elettronico”.

Fonte: The Digital Economy and Society Index (DESI) 2024, Commissione Europea
Questo significa che una buona parte degli italiani non sa usare internet in modo autonomo, né gestire strumenti fondamentali come la posta elettronica.
Chi si occupa di digitalizzazione dei servizi pubblici -e non solo- non può ignorare questa realtà.
Il punto è che rendere un servizio digitale non significa automaticamente renderlo accessibile o facile da usare.
Le fasce a rischio
Prendi lo SPID, ad esempio. Sulla carta è un grande strumento di semplificazione. Nella pratica, tantissime persone si scontrano con problemi banali: password da ricordare, codici da generare che scadono dopo pochi secondi, doppia autenticazione che richiede velocità e dimestichezza con diverse app.
Tutto questo ha mandato in crisi l’autrice alla veneranda età di 27 anni, figuriamoci chi con il cellulare ci telefona e basta.
Lo stesso vale per la sanità: referti online, prenotazioni via portale, documenti firmati digitalmente. Per alcuni, è un clic. Per altri, un labirinto.
E purtroppo chi avrebbe più bisogno di questi servizi è la prima “vittima” delle barriere digitali.
Quando si parla di divario digitale, si pensa subito agli anziani e in parte è vero, sono tra i più colpiti ma non sono gli unici. Ci sono tantissime persone che rischiano di essere escluse dal nuovo modo di accedere ai servizi pubblici.
Per i migranti, chi ha una bassa scolarizzazione o chi vive in zone con connessione instabile, la smaterializzazione rischia di diventare un ostacolo, non tecnico ma sociale.
Smaterializzazione e accessibilità
Chi ha una disabilità sensoriale, invece, si trova spesso di fronte a siti non compatibili con screen reader, testi troppo piccoli, mancanza di alternative audio o scritte. Le persone con difficoltà cognitive o linguistiche affrontano interfacce complesse, istruzioni poco chiare, moduli difficili da compilare.
Fortunatamente qualcosa si sta muovendo in questa direzione.
Le Pubbliche Amministrazioni sono già soggette a obblighi normativi in materia di accessibilità digitale, secondo quanto previsto dalla Legge 4/2004 (Legge Stanca) e successivi aggiornamenti. Quindi sulla carta –si può ancora dire “sulla carta”?– i servizi pubblici sono sulla buona strada.
Tuttavia, con l’entrata in vigore del European Accessibility Act, anche le aziende private dovranno adeguarsi entro il 2025 per garantire l’accesso equo a beni e servizi digitali, tra cui e-commerce, banche, e-book e app mobili.
Bilancio della digitalizzazione dei servizi pubblici: vantaggi, sfide e prospettive future
La digitalizzazione dei servizi pubblici ha semplificato molto. Ha accorciato tempi, eliminato moduli, evitato code e, in certi casi, ha anche tolto un po’ di burocrazia di mezzo.
Ma non tutto funziona per tutti, e questo è il nodo centrale. C’è chi si è trovato a suo agio, e chi si è sentito escluso. Chi clicca con disinvoltura, e chi preferisce ancora la fila allo sportello perché “almeno lì ti parlano”.
L’alfabetizzazione digitale è fondamentale per rendere il sistema davvero inclusivo.
Una delle strade più efficaci è portare la formazione digitale nei luoghi del quotidiano: biblioteche, centri civici, farmacie, sportelli comunali, ma anche scuole e parrocchie possono diventare spazi dove imparare.
Anche la presenza di facilitatori digitali sul territorio può fare la differenza. Persone formate per affiancare anziani, migranti o cittadini in difficoltà nelle piccole azioni quotidiane online. Un supporto umano, costante e rassicurante che accompagni senza giudicare.
Alcuni enti hanno già messo in campo azioni del genere, come i Punti Digitale Facile a Prato, per fare un esempio che parla toscano.
Perché un servizio pubblico – digitale o meno – resta pubblico solo se non esclude nessuno.